Nuovi strumenti per la gestione dell'emergenza

La Crisi epidemiologica connessa al Covid 19 richiede interventi legislativi che introducano una disciplina d’emergenza della crisi d’impresa. Si tratta di individuare quali siano i provvedimenti più corretti al fine di evitare soluzioni inefficaci o addirittura dannose.

L’emergenza è giunta nel nostro paese in un momento particolare della normativa fallimentare, nel quale era attesa per il 15 agosto 2020 l’entrata in vigore del D.Lgs 12 gennaio 2019 n. 14, attuativo della Legge n. 155/2017, vale a dire del Codice della crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (“Codice della Crisi”) che rappresenta il primo atto organico di riforma della legge fallimentare del 1942. Il d.l. 2 marzo 2020 n. 9 ha inizialmente prorogato di 6 mesi gli obblighi di segnalazione, slittati al 15 febbraio 2021 evitando l’applicazione di una normativa chiaramente pensata per la gestione di situazioni di ordinaria crisi d’impresa.

Si è resa poi opportuna la proroga della entrata in vigore dell’intero Codice della Crisi, in modo da consentire agli operatori di gestire l’emergenza con strumenti già rodati, ma soprattutto di introdurre nuovi strumenti che siano pensati per gestire situazioni del tutto straordinarie, che non trovano soluzioni idonee né nella normativa vigente né in quella di prossima entrata in vigore.

Il rinvio dell’intero Codice della Crisi (o di gran parte dello stesso) era auspicato da autorevole dottrina (per tutti, Prof. Massimo Fabiani, Il Codice della crisi al tempo dell’emergenza Coronavirus, in Quotidianogiuridico.it) che evidenziava, nella convinzione che le norme del Codice irrigidiscano l’accesso al concordato preventivo, che tale irrigidimento è ragionevole se funzionano le misure di allerta, ma che, una volta differite le misure di allerta, le restrizioni sul concordato preventivo rischiano di divenire insopportabili per il sistema disegnato dalla riforma. Il Decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 recante “Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali” pubblicato nella GU Serie Generale n. 94 del 08-04-2020 (c.d. “Decreto Liquidità”) ha rinviato al 1° settembre 2021 l’entrata in vigore del Codice della Crisi.

Per quanto riguarda invece l’introduzione di nuove misure di soluzione della crisi, il Comitato esecutivo della CONFERENCE ON EUROPEAN RESTRUCTURING AND INSOLVENCY LAW (“CERIL”) ha inteso formulare una proposta ai legislatori degli stati dell’Unione Europea e all’Unione stessa per rispondere a due problematiche dirompenti create dall’attuale situazione socio-economica: la temporanea perdita dei flussi di cassa delle imprese e l’impossibilità temporanea di formulare previsioni attendibili sui futuri flussi di cassa.

Le legislazioni nazionali in materia fallimentare hanno come principio guida quello di adottare soluzioni alla crisi d’impresa che tutelino sia l’impresa debitrice, sia soprattutto i creditori della medesima. E’ chiaro che in questa fase procedure liquidatorie non porterebbero alcun vantaggio ai creditori, data l’impossibilità di procedere a vendite giudiziali e coinvolgendo anche società che in condizioni normali sarebbero in grado di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni. Il CERIL auspicava la sospensione degli obblighi di ricorrere alle procedure fallimentari, e persino del diritto dei creditori di depositare istanze di fallimento. Il Decreto Liquidità, nel solco di questo auspicio ha appunto previsto che i ricorsi per dichiarazione di fallimento depositati nel periodo tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020 sono improcedibili. Quest’ultima soluzione è però piuttosto estrema e finisce per divenire punitiva per gli stessi creditori, ai quali andrebbe rimessa la valutazione su come meglio tutelare i propri interessi. Un controllo giudiziario per evitare comportamenti di moral hazard con i quali alcuni soggetti beneficerebbero senza motivo dell’emergenza sarebbe stato preferibile. Resta da vedere quali modifiche verranno portate al decreto in sede di conversione.

Al contempo, il CERIL prende in esame, quali misure per ovviare alla carenza di liquidità: (i) la concessione di credito, che però pare del tutto inadeguata, in quanto incrementerebbe il debito delle imprese senza che tale debito abbia ragionevoli possibilità di ripagamento in base agli ordinari valori di rendimento del capitale impiegato dalle imprese, (i) la sospensione degli obblighi di pagamento, sul modello svizzero o spagnolo, (iii) una sorta di ibernazione o “letargo” delle PMI basata su a) una moratoria generale o b) una proroga dei termini di pagamento da ottenersi eventualmente mediante una apposita procedura giudiziaria. A questo proposito si fa riferimento agli artt. 83 e 91 del Decreto-Legge 17 marzo 2020, n. 18 che prevedono la sospensione dei termini giudiziari e contrattuali, prorogata dal Decreto Liquidità sino all’11 maggio 2020.

Il CERIL raccomanda l’adozione di queste misure de plano e senza formalità, almeno laddove non sia possibile il ricorso alle autorità giudiziarie per provvedimenti di sospensione delle attività degli uffici pubblici. Peraltro, poiché è di tutta evidenza che tale soluzione sarebbe inefficiente e ragionevole solo in momenti di emergenza assoluta, si ipotizza la possibilità di una procedura di protezione da instaurare mediante una domanda giudiziale, al termine della quale la società potrebbe alternativamente rinunciare alla protezione ovvero intraprendere la strada di una delle procedure concorsuali ordinarie. Tale ultima soluzione pare ragionevole e nel caso italiano, potrebbe trattarsi di una procedura del tutto analoga all’automatic stay previsto dal concordato preventivo con riserva, da consentirsi in via eccezionale per un periodo più lungo di quello previsto dalla legge. Un piccolo passo in tal senso può rinvenirsi nella disposizione prevista dal Decreto Liquidità secondo la quale Il debitore che ha ottenuto la concessione del termine per il deposito di una proposta di concordato preventivo o di omologa di accordo di ristrutturazione che sia già stato prorogato dal Tribunale, può, entro cinque giorni dalla scadenza, presentare istanza per la concessione di una ulteriore proroga di novanta giorni, anche nei casi in cui è stato depositato ricorso per la dichiarazione di fallimento.

Busto Arsizio, 15 aprile 2020

Massimo Pellizzato

 

 

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